venerdì 27 dicembre 2013

rivisitare



Quella volta non avrei mai voluto sfilarle.. Cosa sarà mai? Un intervallo, una pausa. Lo so, chiunque mi abbia chiesto una pausa di riflessione ha continuato a rimuginare per anni, ma da solo. E così è stato anche allora: quattro anni fa mi han chiesto di pensarci sù, di prendere una decisione. Lo vedo il riflesso, il pensiero inespresso. Sulla superficie tirata a lucido, nemmeno un alone, ho disegnato un grande baloon e in centro ho scritto io vado, non mi fermate. Mai un indugio? Grande, imponente, insuperabile, no. Piccolo, da perderci cinque minuti, sì. Le grandi decisioni han bisogno di meno tempo per essere stabilite e saranno decisive. Le piccole, dicono, ti fan perdere le notti. A me no. Ho smesso anche di non dormire, perché, in genere, quando calo le palpebre continuo a far piani, uno sull'altro, e all'indomani ho già il progetto. Gran bel lavoro, mi autocomplimento, brava. Le piccole, dicevo, son le più lunghe, ma il parto non dà i figli sperati: tanto dolore, poca soddisfazione, incisive per nulla. La mia produzione attuale è l'immagine sfocata  della mia infanzia. L'oggi dovrebbe essere il periodo di importanti rivolgimenti, di spettacolari conquiste e invece mi appare come la brutta copia di un disegno fatto tanti decenni fa. No, non l'ho conservato, ma sarebbe poco importante. Ricordo bene come l'ho iniziato e in che luogo ero nascosta con carta di giornale e pennelli. Lo stipite è stato compromesso per sempre, ma l'opera d'arte era stata compiuta. Non conoscevo il significato di decoupage, ma quello dello sguardo di mia mamma sì, eccome, e quello me lo sogno ancora. Tutto sembrava possibile, allora, anche che io convincessi i miei che quella era una prova. Facevo dei grandi inchini, giravolte immense, contorsioni impensabili, e il sorriso, sornione, le guance paonazze li facevan divertire... ora che so allungare il passo, toccare il ripiano più alto del mio braccio e del loro stesi, che potrei guardare dall'alto in basso, non vorrei altro che tornare a passi felpati all'angolo tra la cucina e la luminosa veranda e gridare forte, per vederli sobbalzare, per smuovere coscienze, scuotere animi sopiti, ringiovanire sentimenti, tirare rughe, rinfrescare facciate, illuminare passi, risollevare schiene, ritrovare nascondigli, scoprire quel suono in coda che in parte riassume, che tutto contempla, che nulla conclude. Potrebbe essere il fruscio di una carezza o il trillo di una risata: il dimesso tributo di un tempo reale o immaginario e l'istantanea intrufolata tra le pagine in movimento di un libro aperto, ciò che sei per una persona cara, o che ella è per te. Ah, come vorrei vederle sfilare...





venerdì 20 dicembre 2013

al mio dieci



Vorresti svegliarti, liberarti dall'immagine dell'Europa. Ma non è possibile.

Eppure è così facile, basta svegliarsi in una nazione in cui nessuno vede più, far credere loro di essere un predestinato, l'unico che sappia portarli verso la salvezza. Ma chissà, col passare del tempo, che non rivelino a te l'unico modo per scorgere la verità… ché modificare il corso degli eventi non è più così facile come sarebbe potuto sembrare tanti anni fa. Si scorgono sedimenti di coscienza civile e politica dappertutto che vanno a costituire il nucleo. Pare pronto ad esplodere in ogni momento e invece sonnecchia tranquillo in attesa che qualcuno trivelli deciso e intanto si da una bella verniciata di fresco, costretti a cambiare logo, tattica, lessico, facciata. La base freme e salta a ritmo degli slogan, sopravvive e macera e fa finta di furoreggiare. Si rimane sulla cresta dell'onda con alcune inevitabili cadute di tono, a galla con brevi sperimentazioni in apnea, più giù con più lunghe pause di disorientante esplorazione nei profondi recessi dell'animo, come sotto l'effetto di potente acido fino a rendersi conto che quella non è una vasca di deprivazione sensoriale, no. Inutile, nega, annega.

domenica 15 dicembre 2013

quando



C'è una grande lacuna da colmare e non dispongo di un grande e pesante bagaglio per poterlo fare. Bisognerebbe riscrivere gli eventi, documentarsi in profondità, andare a ripescare testimonianze ed esperienze e io non ho un ricco e vasto archivio per volerlo fare. Mi rimane la possibilità di riconoscere gli zombie che ancora popolano la mia nazione e quelle ad essa vicine, e quelle da essa distanti, guardarli in faccia, stringere loro le mani, il più delle volte idealmente, mai fisicamente, sostenerne l'andamento traballante e incerto, ascoltarne le storie, spesso già sapendo come vanno a finire, mai abbastanza preparata, sempre poco allenata allo squallore, alla violenza, alla resa. Le terre che calpestano sono insanguinate e scavate dalle ossa dei loro cari, le acque inquinate dalla putrefazione dei corpi abbandonati alle correnti, l'aria appestata dalla acidità della polvere da sparo. Le storie sono accomunate e legate dalla mancanza di vita, le linee interrotte dai gesti precisi, ancor più rallentate per fissare ancora una volta l'ultimo respiro, l'ultima presenza.


sabato 30 novembre 2013

trilogicamente


Qual è il motivo per cui una decide di andare a riprendere un libro, così come un vinile o quella ricetta antica? La risposta è già impastata nella domanda, ha lo stesso sapore inimitabile delle mani di quella vecchietta che si levava alle quattro del mattino, preparava il tavoliere segnato da mille colpi di coltellino, imbiancato come i suoi capelli, profumato da centinaia di migliaia di spianatoie. Gli avvenimenti attuali, le notizie spaventose così come quelle liete sono contenute in quelle pagine, le più lise da dita curiose, instancabili, fresche impronte innocenti, e la colonna sonora in quelle note, soprattutto quelle gracchianti, quelle consumate, frementi, acute e profonde, tocchi sapienti e poco esperti, tutti uniti e magicamente mischiati dalla alchimia antica e sempre nuova della conoscenza, delle intelligenze oneste e mai dome, sempre volte al bene-verità e mai alla cattiva abitudine di rimaner fermi sulle proprie posizioni, all'egoistica pretesa di stagnazione nella nebbia della menzogna. E' con questo spirito che mi accosto alla trilogia di una grande scrittrice, parola scritta e mossa da un vento impetuoso, spietato e dispettoso che crea il giusto scompiglio e spazza la fitta coltre opprimente del sembra, ma non è.. inutile dannarsi, tanto non cambierebbe nulla.. Comincia con folate brevi e fastidiose, s'intinge piano piano nell'insistenza e nella paranoia, prende vigore e si schianta sulla sventurata lettrice, schiaffeggiandola, scalfendone la granitica sicumera, aprendo sempre nuovi varchi attraverso i quali sfonda i confini friabili e impatta violentemente i frutti duri della coscienza: nessuno è esente da responsabilità in un conflitto, in una lite o in un tradimento. In questo continuo turbinio di emozioni scritte ad arte, lavorate con abilità, inventate di sana pianta o tenacemente aderite alla vita io quale ruolo ho? Fondamentale e vano: mi abbandono alle correnti, o faccio resistenza, spesso inutile, o assaggio il risultante prodotto finito, -perché, chi non lo sa?- l'aria trasportata ha un ben preciso sapore, un profumo e una consistenza ben definite in uno spazio, un suono che ben definiscono lo spazio e il tempo e il fine. Oggi arrivano a me tante voci, le lodi di chi li mangiò appena sfornati, i mugolii di piacere di chi li aveva sterminati, i lamenti di chi rimase a secco, le urla per l'amaro in gola, i singhiozzi da mal di pancia per l'indigestione. Passano i decenni e si accavallano ricordi ed aneddoti, si fondono e mi regalano nuove fonti e mi forniscono più saporite interpretazioni. Erano così buoni che li chiamai raffiche..

Nella vita odio il vento... sei come quel che critichi e ti infastidisce. Comincio seriamente a crederci, perché tutto rafforzato è simpatico assai.

.. cerco di raccontare la mia storia, ma non ci riesco, non ne ho il coraggio, mi fa troppo male. Allora abbellisco tutto e descrivo le cose non come sono accadute, ma come avrei voluto che accadessero..
Agota Kristof

martedì 26 novembre 2013

sorda

Mezzo uomo vai avanti, in ogni direzione.




Finché senta. Negli alti e bassi attraverso il mondo. Ad ondate pregne di frustrazione e rabbia, alterno furore maturo, orgoglio solenne. Non mi controllo, sragiono; trasmetto impazzita, declamata come un canto sospeso, mi abbatto come un coro a cappella maligno, terrorizzante. Traspare un profondo senso di urgenza. Chiaro parte come un fruscìo. S'infuoca in fischio acuto, penetrante. Si sovrappongono e creano spessore, una barriera che è inutile cercar di bucare, né tanto meno scalfire. È come avere di fronte, dietro a destra e sinistra altre me, nei tentativi vani e continui di entrare, sostano fuori e osservano e imitano le varie espressioni. Era un gioco che facevo da bimba: parlavo e non muovevo le labbra. Lo rifaccio ma non ricevo riscontro. Il suono è contorto, disturbato dalla durezza delle parole. Ho impiegato anni per non farmi comprendere. Ora che vorrei solo dire semplicemente sono atterrata da smorfie crude, disilluse visioni, fiamme interiori, strade deserte e dittatori e ventriloqui orribili: quelli che guardo muovere la bocca, ma non odo. Non avrei mai immaginato peggior scenario apocalittico. Eppure l'assenza di speranza è stato il mio brutto inizio. Il salice cresceva affianco a me. Ne avvertivo la fronda ombrosa, ad esso mi poggiavo quand'ero stanca, ma non ne ricavavo sollievo, anzi, debole, filiforme, più confuso di me, di me si nutriva, in me si insinuava lentamente, indelebilmente. È inesorabile. Nessuna tregua. Si diffonde la rassegnata coscienza che presto io non possa seguir traccia, mi rimarranno le code strumentali, le percussioni forti, tattili e visive. Ipnotizzarmi. Appiccicarmi al mio padiglione, sprofondare fino ad afferrare lo scricchiolante e ossessionante urlo muto, moltiplicato all'infinito, strapparlo via e soffocarlo. Lo spettro. L'incubo. Il rumore grigio. La nebbia sonora. Il sabba estraneo. Leggi per me.
Affinché non senta.




Ci prendiamo noi cura di te.
Einstürzende Neubauten

Estragone Cosa abbiamo fatto ieri?
Vladimiro Cosa abbiamo fatto ieri?
Estragone Sì.
Vladimiro Bé… per seminare il dubbio sei un campione.
Estragone Io dico che eravamo qui.
Vladimiro Forse il posto ti sembra familiare?
Estragone Non dico questo.
Vladimiro E allora?
Estragone Ma non vuol dire.
Vladimiro Però, però… Quell'albero…

Aspettando Godot

martedì 19 novembre 2013

a lezione




Bello sguardo dimmi cosa vedi al di là di quell'orizzonte. Occhio sinistro t'interrogo perché vorrei che tu m'illuminassi sul futuro, sul mio destino, sul nostro amore. Abbi fiducia. Ora scriverò su un bigliettino cosa ti servirà: l'essenza e la giovinezza, raccogline abbastanza e fai un piccolo bagaglio. Con un secchio vuoto riuscirai a prender più quota, e volerai al di sopra di tutto, e se ne trovassi poca, potresti riversarne. Quale miglior cura? La ricetta giusta questa, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere. Veloce, mano destra, unisciti alla mia, concisa, breve stretta, magica presa circolare che m'ha legato a te per sempre. Disegna nell'aria come un'unica tappa, riepilogo di una storia, sintesi perfetta dell'unione di due menti, giovane e vecchia, acerba e matura, fulmineo percorso dei circuiti mentali che collegano e catturano punti lontani dello spazio e del tempo. Care labbra cosa volete, perché mi tormentate, mordendovi e sanguinando? Nitide odo parole spingersi sulla punta della lingua e giù, scandite e precise, libere e rigorose, le riconoscerei tra miliardi. Son le mie si allineano e marciano in completo elegante ed essenziale. Qualunque sia la cosa che si vuole dire, esiste solo un sostantivo per descriverla, un verbo per animarla e un aggettivo per qualificarla. Fantasia, pensiero cangiante, progetto colorato, penso per immagini e le stendo cambiando tono, attingendo al significante, mescolando le espressioni. È forse questo il senso e il modo, ubiquo e necessario, attuale e chiaro. Ti sussurro visioni. Sta a te ricomporle o lasciarle confuse lì nel paesaggio da esplorare. Volevo anche che quel destinatario riuscisse a immaginare la traiettoria che descrive nella mente - o nell'anima? - una parola prima di andarsi a poggiare sulla punta della lingua, sui polpastrelli della mano o sul ciglio del padiglione dell'orecchio. E quello che fa? Non ascolta… si ritrae per dilatarsi ancor più, si restringe e poi esplode in una striscia lunghissima che si srotola per accogliere quante più espressioni, quante più vibrazioni, tante, infinite, spruzzate e tuffate in quel secchio immenso, dal volume senza fine, in cui ci si perde in un luogo labirinto gigantesco, garanzia di una verità mai parziale: Quella che prende forma nei grandi romanzi del XX secolo è l'idea d'una enciclopedia aperta potenziale, congetturale, plurima. Com'è iniziata? Ho smarrito la parola iniziale. Nella molteplicità degli incipit dov'è il collegamento? Ti ho qui, finalmente, giovane vecchia storia d'amore per la scrittura e la sua lettura, alla tua conquista io m'impegno, a te mi dono, simbolo di trasmutabilità incessante, relazione di elementi in continua proliferazione, non mi deluderai, no, mai.

Grazie a un grande Italo.

mercoledì 6 novembre 2013

tilt

Da questa fase non esco, l'ho ripetuto almeno centinaia di volte. Ci lascio le penne. Non è una tappa, è più che altro un binario morto, di quelli che non ti lasciano il tempo di tirar la leva, frena?, e sei già spiaccicato dopo un bel volo. C'è da dire che probabilmente ne rimarrà traccia, un'impronta indissolubile, esclusiva da tramandare a futura memoria, ma mi concederà appena l'onore di un accennato applauso. Si parlerà, si commenterà. Si è rigirata come un vortice attorno e sotto se stessa, ha scavato a fondo gallerie infinite, nelle quali, avventuratasi, non riuscendo a ritrarsi per far ritorno, s'è persa e, come dice lui, questo è e sarà il suo fallimento più bello. Lui. L'autore. È stato talmente tormentato, povero figlio, così ombroso e poco incline a qualsiasi compromesso che questa sua ultima opera, riportandolo alla visibilità meritata, sì, ma tardiva e ininfluente, non farà altro che lasciar tutti indifferenti e il suo successo ben presto dilapidato. Tutti chi? Non me. Insieme a lui alla deriva nel 2006 ci son anch'io. Circondata da tanto affetto, una parte disinteressata, una parte aderente, soffocante e in attesa di pagamento rata a scadenza. Musico questa tappa. Quello che verrà dopo non riuscirà ad eguagliare la bellezza della sofferenza, dell'inciampo, del rallenti della caduta. Scott Walker. Tormentato songwriter. Storia e blocco. Tilt, giù lo scosceso e ultimo approdo, appunto. Capo di buona speranza. E riascolto l'eco di una biografia ricca, bizzarra, fuori dagli schemi, di quelle in cui m'imbatto e m'impatto volentieri e sulla forza delle quali mi lascio trascinare, lontana dalle radici, ma radicale avanguardista, trasformata e rinnovata, alla ricerca continua di frutti mai maturi, animata dallo stesso sguardo cupo e malinconico… svogliata e mai doma, segreta e coloratissima, compongo pulsazioni, le unisco in un'enorme litania, sgranando e recitando. Son terremoti interiori che sfondano il suolo e nel fratturare zolle e aprire voragini liberano sentire, pensare e guarire. Per me e per lui.


mercoledì 23 ottobre 2013

non presente



… eccentrica, stravagante, irruenta, originale, anticonvenzionale, eccessiva e non è servita chissà quale immaginazione per avvincermi e coinvolgermi ulteriormente. Lei è proprio così. S'è inventata un'esistenza piegando il proprio destino, contorcendosi insieme ad esso, inumidendolo negli stessi piaceri e mischiandolo alle sue passioni. Difficile, quasi impossibile, non lasciarsi sedurre e apprendere l'arte del costruire, ingrandirsi ed estendere le proprie radici dappertutto, trasmettere e nutrirsi. Ne intuisco l'andamento e lo seguo, nodoso inizialmente, poi si fa morbida e avvolgente. Mi perdo in essa. È piena di insidie, ma sa essere anche rifugio sicuro. È quel conflitto che alimenta l'esistenza, lettura intensa della storia mia, racchiusa e arricchita dalle sue appendici, come fatta di vicende ritratte in un'atmosfera inconsueta e in una stagione che sembrerebbe non debba conoscere mai fine e invece volge al termine.



Sometimes I feel very sad
I guess I just wasn't made for these times
Brian Wilson Beach Boys

mercoledì 16 ottobre 2013

Apri



Batte in testa. Procedo a strattoni. Effimero. Mi fermo sul ciglio, sotto i miei piedi un burrone… rimango in bilico e sento l'odore del vuoto. Sul collo porto il suo profumo e davanti sempre, per sempre, sento la maschera affilata nella quale si spalanca una fessura color vermiglio, corre lungo la guancia e si fa strada. Refrattario. Non cedo, no. Credere? Mai. Alla negligenza, all'intransigenza gelida, all'alterigia, all'ipocrisia resisto, resisto. Mi apparve nuda. Ha il sapore del tabù, divertito e proibito. Delizioso. Ostentava sicurezza e invece era in tremenda balìa del mio desiderio. Se n'era persuasa, si dispose e rimase immobile ad attendere, gioiosa e sensuale. Non parla più. Tartagliava fino a qualche istante fa. Osteggiato. Purtroppo l'ho conosciuta troppo tardi. Non avrò abbastanza tempo per darle ciò che meriterebbe. Tutte le altre si inginocchiano per farmi contento. Vietato. Lei invece, fiera e forte, non l'apprezzeresti un euro, talento vero, controcorrente, m'ha schiaffeggiato, e ora? Vivo per lei. Paradiso al rovescio. Stravagante e squisito. Cibo esotico e prodotto nostrano. Disturbante e mai accomodante, ma vero, vera, verità, di quelle esperienze appaganti alla fine delle quali a pancia in sù, guardi sognante il soffitto e dici Eterno. Sigaretta.


Quando una verità è chiara, è impossibile che ne nascano partiti e fazioni. Voltaire

martedì 8 ottobre 2013

ordine inverso



sfondata ogni porta,
abbattute le mura,
è il cosiddetto Infinito
la nostra vera clausura?

l'humus naturale, l'infinito capolavoro, il classico e tradizionale flusso energetico dal quale si esplicano le potenzialità di una persona, quello che lo fa diventare eccentrica e singolare… come un magma ribollente che appare solidificarsi, incastonarla e fissarla, e poi esplode in multicolori sfumature, mescolandone incubi e vuoto, rumori lontani e respiri soffusi

su tutto si erge, solenne, materiale la vetta, leggerezza di mente e cuore, un'apparizione che concilia e compensa due universi paralleli, i due opposti, riflessioni e deliri, il tutto e il nulla, soglia sul baratro… infine la fuga miracolosa fino a spingersi ai bordi di quel buco nero che tutto contiene; oso, mi lancio come un'astronave alla velocità della luce, nell'epicità della mia personale unica leggenda


buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos'è, nella sua essenza, una rosa.

Passi Res amissa 
Giorgio Caproni




sì, lo so, è un cyclamen europeum

domenica 29 settembre 2013

new



Quando si dice la perfezione di tempi, di un particolare e del generale. Un insieme di fattori che fa del rispetto di questi fondamentali criteri la propria ragione di vita. Uno stato di grazia che sembra pervadere un manufatto di rara bellezza. Lo acquisti, lo sistemi in casa e ogni volta che il tuo sguardo si posa su di esso, ti perdi in mille considerazioni, un milione di domande alle quali non trovi risposta, o forse sì, una almeno: quasi sembra si sia fatto da solo.
La narrazione comincia e le musiche fanno da contraltare alla violenza delle immagini potenti che sfilano davanti ai tuoi occhi. Il tutto scandito con indifferenza e sdegno doti di un genio che percorre una vicenda con la sua arte, ne fa un capolavoro e non se ne rende conto, cosicché le stesse singole scene son legate ed autonome allo stesso tempo. Il tutto rimane impresso nella memoria: indimenticabili carrellate di morti che cancellano in un attimo insignificanti esistenze. Lo spessore che assumono le ombre quando risaltano grazie a una luce abbagliante. Anche un lampo brevissimo che dona un tutto tondo. Solo uno spot minimo che scava in profondità. Io, la me rinata. Fino a nuova morte. E ben ritrovata me.


sabato 22 giugno 2013

capelli sparsi



È su queste note che ti immagino, anzi ti vedo, ora su di me. Glaciale autore di uno dei più efferati omicidi in sequenza di fotogrammi: ricomponi e monti, seppellisci e riesumi, affondi e riemergi. Non è forse questo il senso della trasfigurazione e dell'evocazione? Credo. Questo è il significato reale, il lancio riuscito, il volo immenso e l'atterraggio magnifico della tua predicazione. Perché intanto mi parli, mi inciti, sembri smarrito e invece mi ritrovo, lieve e violento elargisci benedizioni e sfumi le maledizioni, irruente e morbido, accendi una tensione infinita, mi confondi e dilegui il presente nell'assente. Forse ora comprendo cosa intendessi quando ho detto a mezza voce 'sono disperata': smarrimento in una sfuriata di ossessioni, inerzia nella frenesia di provocazioni. Cos'altro potrebbe essere se non conseguenza di spaesamento: il susseguirsi di colpi e di pause, di assalti e di rese, di ricongiungimenti e di sconfitte. Disarmante gioco di noise e dolcezze, delirio distorto, anarchia pura nella quale mi immergo trascinandoti e sorreggendoti. Sì, ho capito che avresti potuto ammazzarmi a tuo piacimento. Nessun uomo mi aveva mai fatto sentire così. Di quelli che riconosci perché hanno lo stesso nervo scoperto, lo estraggono per scudisciare o per blandire. Apparentemente sconclusionata composizione di forme e colori, ammasso disordinato e inquinato di sensazioni e voglie, disegno commosso e mitico tappeto su cui si sperimenta una inaspettata e spaventosa tenerezza e insieme un senso di incompiuto terrore incendiario. Nero ambasciatore della paura s'erge, lasciando sempre un senso d'incompiuto anche quando riempie, bruciando anche quando inonda e scorre.



sabato 8 giugno 2013

rapimenti



Lei è una persona introspettiva - mi disse così in una delle tante sedute. Ho speso mesi, dissipato stipendi interi per sentirmi dire simili ovvietà? Desolata. Non torno più in via La Marmora. Alla fine mi son decisa. Ogni giovedì, suono, alla solita voce gracchiante rispondo Caso X, altro pulsante, altro stentare di meccanismi male oliati, ennesimo odioso cigolio di porta del XIX secolo, apro, entro, chiudo, salgo, pulsante, altro chi è?, chi diavolo vorresti che fossi.. maledizione, devo smetterla di illudermi, di guarire, di piacergli, di suscitare il suo interesse. Basta. A quelle sue parole, appuntate e riferite ad alta voce, mi alzo, mi infilo il cappotto e, senza nemmeno rivolgergli lo sguardo: 'Saldo con bonifico, addio'. E a quel mostro insensibile fuori dalla  porta neanche un saluto.. o meglio un 'Crepa' a fil di denti, soffiato via con tutta la rabbia che può trattenere una malata immaginaria, o reale - che importa ora? - per mesi, anni, vite. Già mentre mi precipito a perdifiato giù per le scale ripidissime penso e so con certezza che avrei potuto operarla io questa vivisezione settimanale. Non ho forse sempre anticipato di almeno dieci minuti le sue conclusioni scientifiche? Forse sarò vittima di un disturbo insanabile, ma sarò capace di analizzarlo, studiarlo, descriverlo talmente bene che meriterò una laurea in sensatezza, in trasparenza, in indipendenza. Ho imparato già parte della lezione. Poca sottovalutazione, coscienza dei limiti misurata, qualche eccesso di fantasia, speranza circoscritta, attenzione vigile nei confronti della delusione, queste le cose da tenere a mente. Sono causa e fonte dei miei mali, dei miei vizi. Devo diventar capace di tenerli a bada o esser pronta a soffocare sotto il loro peso, consapevole e determinata alla distinzione tra inutile morte e giusto sacrificio volto alla nascita di un fiore fresco, nuovo, giovane. E non è un esemplare di plastica infilzato ad arte su un tronco vecchio e disseccato. E' frutto di lavoro paziente, di pensiero fertile che rivanga e disotterra, instancabile e paziente. Le mani annodano e districano antica pratica di intelligenza e opera di ideale, purezza che non sente necessità di contaminazione, separa, sceglie, sputa e lancia i semi conservati con cura, attende che si depositino e che facciano la loro fine: dolce, vero peso del fiore sulla pianta..

e nel frattempo leggo Morselli.


giovedì 30 maggio 2013

in grado


Do not dress in those rags for me, I know you are not poor;
don’t love me quite so fiercely now when you know that you are not sure,
it is your turn, beloved, it is your flesh that I wear…



Ci vuole un gran bel coraggio, ma alla fine ci si riesce. A improvvisarsi diversi da quel che si è in realtà. Perché il più delle volte si hanno le armi a disposizione, anche se ben nascoste nella fondina. Poi si scopre, sia stato inutile e anche dannoso. Il tempo per cercar di slacciare, afferrare, sfilare, mirare, puntare e far fuoco. Sarebbe stato più semplice essere se stessi, senza uccidere il proprio e l'altrui. Voce e strumenti ce li abbiamo tutti. Doti raffinate o mediocri. Registi del proprio film, professionisti del savoir faire, dire, vivre.


mercoledì 15 maggio 2013

insoddisfo






Mi sei preso una sera, così per caso, per caos mio, e tuo. Ti sei presentato come un eccesso di voce, quell'acuto che spara improvviso mentre stai parlando piano. Come il singhiozzo che ti interrompe un vecchio discorso, lo hai iniziato e non lo finirai mai. E intanto in quello si insinua umido e caldo un anticipo di trama, lo sfogo amaro di una vita insoddisfatta, piena a metà. 
Basta un motivo futile, l'originale sortilegio rivela lo squarcio, lo schema se ne va a puttane, e scopre balle, belle e sacre, anche inutili e dannose. Sai, di disimpegno, l'apparenza, dell'aggiungere inganno, ottieni un mondo di imprevisti. Io rinvio partenze solo per il gusto di assaporare l'apoteosi dell'approdo in mezzo a tante interferenze, incagli e deviazioni, m'annullo perché sia più intimo e continuo il contatto, ennesimo in ordine di tempo, primo e ultimo insieme.
Appunto l'indirizzo, annoto i numeri, disegno il percorso, ma già, da qualche accenno confessato a me stessa, soffro di sconfitta anticipata, come se avvertissi le scosse e misurassi già i danni dei crolli. Cosa incoraggi? Io son lì già a registrare inversione di marcia e cambio direzione. Un'altra, perché per quanto curiosità e rabbia io possa nutrire, la noia la farà sempre da padrona.  E cercare attuali stimoli, e favorire fortuiti incontri, e ritrarre volti e corpi di fantasmi del passato e di spasimi futuri. Vivere una vacanza eterna, amori meno interessanti, ma senza storie.

sabato 4 maggio 2013

torno sù

Sono al terzo anno e mi cimento in un tormentatissimo flusso interiore che mi porti avanti e indietro, sopra e sotto, dal passato al presente, dagli alti ai bassi. E' viaggio fieramente femminile: prendo il necessario e tutto stipo con disordine accurato nel borsone semi-morbido ché non si deve mai rinunciare al proprio stile e alla propria linea di pensiero, ci si conceda qualche fermata breve a considerare l'altrui e si tiri dritto quando la roba esposta proprio non attira la nostra attenzione. Il mio è metodo astrattamente ben collaudato: mi tormento le unghie, le limo quanto basta a non sfilare le autoreggenti, efficace per avvertire il dolore, linea di dialogo continua dialettica con la morte. Il marchio riconoscibile dell'interiore in subbuglio, il segno del sospetto verso l'esterno, il colore della guerra eterna tra me e gli altri, quando sia nato, quanto sia cresciuto, dovrei soppesare e misurare, ma non potrei giungere ad alcuna soluzione, quindi accumulo identità sconvolta, soggetto scarsamente definito, compatto, imballo e spedisco, aggiungendo un piccolo biglietto di scusa destinato a chi riceverà il bagaglio scomodo. I conti con me stessa li faccio ogni giorno, ma c'è un teorema che possa aiutarmi a calcolare e definire il nucleo, a decodificare il punto focale? No, che non c'è. Narro e m'offro visioni, mie, assecondo personali intuizioni, interpreto la sostanza, emergo e m'affondo, supero ostacoli vecchi e ne invento di nuovi, mi vuoto e mi riempio di sottintesi e di mai detti. Allora qual è il punto? Non ce n'è. Questo è il punto.



lunedì 29 aprile 2013

viaggi

Una volta ho preso un treno per amore. 
Ferma in posti dove non mi conosce nessuno - Antonio Giardi




E poi all'improvviso una fotografia. Ah, no, è un disegno. Ritrae una camera da letto sfatta, uno specchio scheggiato, una luce piena, il riflesso di un raggio di sole attraverso le tapparelle socchiuse e un'ombra sul tappeto, rivelatrice di odori, sapori, viscere e umori. Quel letto custode di chissà quali segreti si scopre ansioso di novità, di novelli vizi, mai pago, bisognoso di risvegli, orgoglioso del suo giaciglio. Mi son sentita accalappiata come una cagna in calore, l'indiscrezione scovata sotto le coltri pesanti, scivolata in mezzo a lenzuola umide. Inutile meditare vendetta. Non c'è rabbia che la tenga. Nessuna fermata che non sia breve, come un singulto amoroso o il tremolio della sua voce quando le hai detto che non ti rivedrà più e lei altalena tra l'orgogliosa delusione e la consapevolezza che più non avrebbe potuto essere. Se lo riguardo capisco. Non era una camera da letto, era lo scompartimento dimenticato di una memoria persa per quanto riavviata a intervalli regolari, un brano strappato dalla fitta nebbia fatto di note incerte suonate da un piano scordato e che non vuole essere terminato. Anzi si sdoppia in mille riverberi fino a raggiungere l'ultimo finestrino posto in coda, quello dal quale si vedono scorrere i binari, linee elettroniche che non riescono a compiere il necessario commiato, a concedere il meritato riposo.

martedì 23 aprile 2013

non mi chiamo stoner

Sempre legata poco alla mia terra, desiderosa di godere di altri paesaggi, sognante e terribilmente instabile rimango cementata a questa scrittura solida, rugosa, sottile e potente in due parole. Il personaggio mi somiglia molto: pochi amici di quell'amicizia sfuggente e nebbiosa, così fitta che non riusciresti a riconoscere tua madre a pochi passi di distanza. Così si scrive una vita: come per descrivere un fiume che scorre, deviato, libero, fluente, trattenuto, contenuto, impetuoso, qualche imprevisto, tracce di gioia, presenza di dolore. Esistenza inesistente, isolamento cronico, consistenza impercettibile. E' la vicenda normale di una persona normale che chiunque dopo le prime pagine vorrebbe metter via, imprecare contro il libraio che gliel'ha venduto e cercar subito il romanzo d'avventura, avvincente e morboso. No. Non accade. Ne sono rimasta affascinata, presa, incollata; ne sento ancora il sapore, perché sembra che ne sia rimasta parte intrappolata sul palato, per quanto lavi e spazzoli, è lì, tangibile, incisiva. E' proprio vero. La semplicità ha rilievo, scivola ma scava, e soprattutto pulisce e netta. Il senso della vita di un uomo questi, per quanto lo cerchi o lo ignori, lo trova comunque in un tono, in un particolare corso della storia scritto con accuratezza e rigore. Per me è il disegno, per lui è la letteratura. Parti interscambiabili, per un attimo, vedo il suo disegno preciso, leggo e narro. Fermezza e forza di una pietra che racconta di una vita, di un uomo in una terra dura e secca.

lettura di Stoner - John Williams


mercoledì 17 aprile 2013

mire

Diciamo che la prendo male, diciamo pure che mi pongo nel modo sbagliato, e, a scanso di equivoci, ammettiamo che nel peggiore dei casi sia io quella errata, se volessimo essere precisi, scomposta e male allineata. Che diavolo vorreste che confessassi ancora? In questo momento manco di concentrazione e non riesco a far mente locale su quanto m'è accaduto negli ultimi mesi, tanto più che, nonostante sia brillantissima a provocare in bella posa, non trovo facile, ora, rendere interessante al mio mirino il soggetto inquadrato. Perde di senso utile, sfoca il fascino e si fa banale come qualsiasi pasto dopo che l'ho avuto là in bella mostra, scoperto, privo della cupola che lo teneva caldo e appetitoso, freddo, morto e nudo per troppo tempo.
Che sia intelligibile ai più era evidente ai più. Anche a me, ovvio, che non considero per nulla disdicevole la cosa, anzi... niente da fare... tutto da immaginare: fusione a freddo di materia calda con pensiero virtuale. Cosa ne produciamo? Un gioco perverso attraverso il quale provare a spiegare cosa manchi, aggrovigliato dentro peggio che un ammasso vorticoso di lombrichi, quelli che rimangono volentieri protetti da una coltre di terra e che non vengono fuori se non al nostro zappettare fastidioso nel tentativo, appunto, di aprire una via di fuga, di incanalare, di affrontare la vita, di sfidare la morte. Lo evito appositamente questo approccio esagitato. Perché scalare quella cima per raggiungere il picco di coscienza? Uno, poi, mica tutti. 
Io scendo invece a far compagnia a quell'essere oscuro che m'allucina e degenera, assume forma espressiva autentica, frutto di una concezione visionaria, allo stesso tempo carne e macchina. I miei sono scatti verso il basso, mi fermo il tempo necessario a giacere, scorrere e strappare - attrarre, coinvolgere, tagliare. Mangio metafora ed allegoria. Ghiotta e parca in egual misura. Assuefatta dal piacere e per nulla viziata dalla forma idolo. Inutile iniziare la campagna disinfestante, non c'è pericolo di stanarlo e, ancor più, debellarlo.
'La gente si lamenta perché i miei romanzi non hanno intreccio. Ma un romanzo picaresco non ha intreccio. È semplicemente una successione di incidenti'.
Ah, alla fine muoio, due volte, centrata in pieno dalla mia disattenzione e dalla sottilissima ironia.

Passo de 'The naked lunch' di William S. Burroughs


giovedì 11 aprile 2013

Moe o Me



Mi son presa tempo. Ben cinque anni. Silenzio. Oro con sfumature violente dalle fortunate e generosissime forme. Il lavoro è stato incessante, le fatiche grevi, ma le pause altrettanto lunghe alla ricerca di equilibri sempre più sottili, affilati, ma che tagliano nel profondo. Del resto ho imparato a far la barba. Sì, col rasoio a scatto e chi si sottopone al mio tocco risulta rilassato, riposato, s'affida a me… a me collo e guance, naso e zigomi e io mi fletto, mi insinuo, mi intono, punto e rado bene. Ho un'ambizione: scoprire cosa c'è sotto quel primo strato di pelo folto, poi sotto il secondo di peluria, e infine sotto il terzo, il più sofisticato, duro, pesante. La bravura sta nell'eleganza del taglio, nella leggerezza dell'addentrarsi… nella densità dei tuoi chiaroscuri, con i quali disegno il perimetro delle tue sensazioni e gioco con le mie. Trovo sempre il bandolo nel vortice dei ricordi, l'essenza della mia confusione. È quella in cui lavoro meglio, vivo bene e t'invito volentieri, a salire, per vedere la mia collezione di dischi scheggiati e cartoline ritagliate e incollate una sull'altra. Il suono dei vinili segnati è sensuale: urla di donna nel momento più intenso del piacere. Il colore e la forma dei puzzle di luoghi è grazia e ripiegamento su di sé: fumo di sigaretta nel post orgasmo. Sontuoso e prolungato respiro grazie al quale tutto ritrova, finalmente, la sua giusta dimensione… un nastro, il flusso. Infinito. Riavvolto capovolto l'otto


giovedì 4 aprile 2013

volo libero



la vicenda che mi accingo a narrare mi è stata confidata, quasi per intero e nel più impensato dei modi, proprio nella forma qui proposta.. ripercorro con malcelato fastidio questi anni e questi stati d'animo. Perché mai definiti stati poi. Nel mio caso mai stabile, e assolutamente poco incline alla pazienza. Sono poco disposta ad ascoltare la persona che mi fa dono delle sue intime confidenze, non ho alcuna capacità di consiglio, perché persa io stessa in vortici e baratri, ma ho deciso di educarmi all'empatia, devo assolutamente eseguire questa difficile, impossibile manovra: amicizia. Credo fermamente che possa liberarmi da decenni di chiusura? Sono o no la personificazione della contraddizione? Son trapassata migliaia di volte smentendomi. Anche stavolta l'intreccio produrrà un risultato.. quale che sia: fallimento o riuscita. Priva di condizionamenti, basterà cogliere l'essenza di ogni singolo gesto, accompagnarne il passo, seguire il tempo.

passo tratto da L'impazienza del cuore - Stefan Zweig




venerdì 29 marzo 2013

we are improving - everyday.



So organizzare una fuga? Son maestro in fantasie represse, studio dei dettagli immaginifici, messa in opera della evasione incompiuta. Le vedi quelle dita veloci, guarda quel dondolio sfrenato, ascolta il movimento sordo della lingua? Quasi un sospirato passo in avanti verso la nota successiva. Il futuro della interpretazione. Il pezzo mancante, originale, diverso. Oltre quelle listarelle mobili perennemente abbassate c'è il mondo: la città fremente, gambe nervose, vortici di pensieri e di azioni e di abbaglianti. Tu scatola vuota potresti contenerne tutta la varietà, te ne nutri fino alla nausea e nel momento in cui potresti liberartene, finalmente, ricacciandola fuori, la reingurgiti, perché non vuoi privartene, non vuoi rimanere solo, vuoto... Il deserto incombe, arido secco immenso. Il buio attende che tu lo penetri, che riesca a raggiungere la proiezione del tuo essere, ad aprirlo all'altro, a permettere che visiti e si fermi se vuole, se può. Non sa restare, non interessa, non condivide. Vicini, stretti, liquidamente congiunti, ma estranei, solidamente freddi, fisicamente alieni. Sorrido per circostanza reiterata e compulsiva, ripeto ossessivamente gli stessi gesti, mi accaloro e mi gelo, mi anniento e mi moltiplico nell'apparente fugace intreccio passionale. Son bravo a uscire di scena, consapevole tristemente della mancanza, della perdita, ma intrinsecamente slegato dalla dolcezza di un vero abbraccio, segnato dalla lacrima rivelatrice, sorpresa inaspettata: scelgo di non essere, so lasciarmi andar.. via...



it's a shame on me

domenica 24 marzo 2013

anche volendo..



Le labbra si sforzavano di sorridere, ma gli occhi opponevano resistenza.

Dopo il primo debole tentativo lasciai che prendesse polvere, lo osservavo da lontano, mi ci avvicinavo con difficoltà, ne accarezzavo i contorni, lo immaginavo diverso, accennavo un avvicinamento, ma subito me ne discostavo. Due universi distinti, separati da lunga distanza, dai quali nessuno dei due avrebbe potuto erigere nessun ponte per raggiungere l'altro, un amore impossibile a sublimarsi, uniti solo da un ricordo indissolubile assolutamente non vago, anzi.. fondato su basi solide come solido può essere un mondo parallelo, costruito tenacemente accanto al proprio, quello in cui rifugiarsi non appena il primo diventi insopportabile, invivibile, cinico. Sii ragionevole, prendilo con te, aprilo e respiralo.


Janitor sottofondo, my brother and his nikon, me fumè


Morirò per lui. Non sono riuscita a vivere per me stessa.

passi di Haruki Murakami

mercoledì 20 marzo 2013

parallelismi




Ne incontro spesso, malvolentieri. Sono tutti presi, forse un po meno di me, a me appaiono più distratti del solito e mi ingannano. Sarà perché nell'aria che preferisco respirare io c'è sempre una strana sospensione elettrica, una tensione che blocca ogni possibilità di riflessione, sarà perché attendo che sia qualcun altro a definire ciò che io tratteggio appena e che non mi va di cancellare né tanto meno correggere, che ecco lì il prossimo sta già dissolvendo piano, mi sta instillando la diffusa tranquillità, quella del 'tanto va così', 'godiamocela finché ce n'è'. Io ci metto del mio. Mi lascio riempire. Succhio quanto basta per far arrivare il flusso e quello si travasa totalmente. C'è chi m'ha definita botte colma senza rubinetto. Vero. Puoi scoperchiare, guardar dentro, ma non puoi aprire e berne. Se cerchi bene troverai perdite. Quelle. Solo. È il risultato di una impostazione minimalista, ma non è scelta intenzionale. È cominciato tutto con un contrasto netto tra dare e avere, continua con il bisogno di contenere e finirà con uno scoppio sonoro quando le fasce creperanno definitivamente dopo millenni di colpi, baci, spinte violente, amplessi dolci, carezze profonde. Non è mai stato un percorso lineare, molto personale, poco coerente, variegato assai. Continuerà a scorrere liberamente. Inutile tenermi.





Una volta ho preso un treno per amore. 
Ferma in posti dove non mi conosce nessuno.
Antonio Giardi

mercoledì 13 marzo 2013

sul post



Io sull'altalena ci son salita a due anni appena. La sensazione mi piacque talmente tanto che decisi: tra qualche annetto quando ne sarò capace e soprattutto quando riuscirò a non farmi scoprire, ne costruirò una io, tutta mia, tutta mia. Sapevo essere adorabile e pestifera allo stesso tempo. A quattro anni e sette mesi ho preso di nascosto martello e chiodi e ho unito due assi abbandonate accanto a un trullo in ristrutturazione. Ho recuperato una corda di quelle che usava mio papà per imbracarsi e salire sui pali della corrente elettrica, l'ho annodata forte, stretta, e l'ho fatta passare attraverso due rami, i più alti del fico altissimo accanto al pollaio. Non appena potevo sgattaiolavo via e mi ci abbarbicavo: a testa in giù, in piedi, su un piede, appesa alle sole corde, facevo per darmi una spinta forte, arrivavo su in cima, vedevo solo cielo, sentivo solo nuvole, parlavo solo al vento, credevo d'aver preso il volo e invece ritornavo sempre indietro e allora mi spingevo più forte.. e intanto ridevo, di un riso matto, dolcissimo, libero, profondamente vero, di quella gioia che insiste ogni giorno ad iniettarti pieni di fiducia giovane, immune da difetti, quasi perfetta e ti spalanca alla vita, forse troppo ingenua, ma talmente lontana dal male e compenetrata nella sua stessa freschezza che ancor oggi ne senti il suono flautato, lo scrocchiare asciutto, il passo sicuro, il gusto della scoperta. Cosa succede ad ogni ridiscesa? Cresce la sensazione del sogno irrealizzato, si realizza chiara la manifestazione dell'impegno non soddisfatto. Non ho mai visto quel gioco solo come tale. Non era ricreazione la mia, ma ricostruzione di uno spazio alternativo, di una dimensione diversa all'interno della quale esularmi e abbracciare la facoltà creativa, la capacità di toccare con mano la sostanza e la materia della passione e della fantasia. Ne accarezzavo appena la superficie liscia, scivolavo di nuovo giù, m'intestardivo e alimentavo il rischio, io funambolica e incontentabile, e ancora su, su.. e ridevo del più potente e assordante riso, quello che soffoca i demoralizzati, seppellisce gli sguardi spenti e colora di giallo fervore e rosso allarme. I miei prendisole, le mie ciabattine, le mie gote.



Ero cresciuto ascoltando predicozzi quotidiani sulla responsabilità personale. Mi avevano insegnato che il lavoro, l'onestà, la volontà, l'applicazione allo studio, erano alla base del successo nella vita, e quindi della felicità. E tutto questo, dicevano, era espressione di libertà
Giuseppe Casa


A proposito quel trullo è crollato, la mia altalena è ancora lì.

mercoledì 27 febbraio 2013

io come lui..



Letto tanti anni fa, riletto tanti anni fa. Son pigra quando si tratta di andar a riprendere un libro. Sinceramente, come per un film, non affronterei volentieri la visione due volte, se l'ho gradito perché ancora vivo è il ricordo, se l'ho ignorato perché mai ritentare? Lo ammetto, sono schizzinosa. Non lascio che mi impongano nulla. Potrei far finta di cambiare idea, ma pochi minuti prima d'aprire la portiera dell'auto confesso: 'Non ho voglia'. La studio l'espressione, pretendo che sia perfettamente convincente. Come il protagonista spesso cado vittima di attacchi di panico. Un attimo prima glaciale, l'attimo dopo sciolta dalla disperazione più vuota. Come lui inavvicinabile, in preda alle allucinazioni, apatica, esagitata, sola. I miei tratti sono l'espressione vivente del dubbio, delle domande continuamente poste, raramente risposte. Non è un vezzo il mio desiderio innato di sapere, di conoscere, di ricalcare le incrinature e di riempirle, sempre che ci riesca, con calce nuova, fresca, e lasciarle lì, accantonarle, in pace, riporle con cura sul ripiano più alto, quello che non si spolvera e si dimentica. Qualcun altro si accorgerà della sua esistenza, si arrampicherà fino a raggiungerle e le sfoglierà le mie cose, le mie note, frammentate, dolci, folli. Avranno un senso le storie degli altri, daranno la vita ad altri sogni, fioriranno come fanno quei colori sgargianti in un campo deserto, si risveglieranno come i bimbi orfani di mamme squassate da un'esplosione, rinasceranno le speranze dalla nebbia fitta dell'incertezza e della violenza cieca degli uomini bestia... intanto lo rivedo: era spuntato un albero in mezzo a tanto falso cambiamento, su tanta epocale inutile illusione.

 

mercoledì 20 febbraio 2013

come respirare, mangiare, respirare

Non ha mai avuto confini precisi, né uno svolgimento e nemmeno una collocazione inconfondibile. Inutile sarebbe datarla o attribuirgli un luogo di nascita. Lei è un'opera frammentaria, separata in tanti spezzoni sparsi così in uno spazio nero, a volte talmente sbiadito che potrebbe assumere forma di nebbia. Ma la nebbia non ha forma. Oh, sì che ce l'ha ed è l'unico esempio di materia che le si incolla sulla faccia, appesantisce i capelli, schiaccia le spalle e allo stesso tempo solleva una decina di centimetri dal terreno, ne avverte la sostanziale, grigia, umida carezza e vaga con lei, dentro lei, su di lei, in lande desolate, ma in mezzo a tanta umanità e molta più massa animale. Anche gli inanimati acquistano una propria esistenza in mezzo alla nebbia, tutti confusi, tutti sfumati.. steli d'erba che si ammassano sotto i suoi piedi, ghiaia fine che s'ispessisce e si compatta: una lunga traiettoria di passi che sarà bene dividere in tappe cosicché si possa evitare di urtare un barattolo di colore e di sentirlo rotolare a imbrattare e violentare quel paesaggio delicatamente tratteggiato. Lei sa distinguere. Lei è in grado di riconoscere la superficie dell'anello di congiunzione tra volere e potere. Lascia al caso il più delle occasioni: è incredibilmente piacevole abbandonare enfasi e artificio e far sì che, unica guida sia la figura a lei più familiare, la sua natura. Sarà questa a dar rifinitura al suo manoscritto? Molto improbabile. Aderirà totalmente al suo ambiente, vi si mescolerà in maniera gioiosa, in esso si stranierà e da esso sarà vinta. Così facile ammalarsi, guarire, riammalarsi. Salire, precipitare, risalire. 




Tutto è sensazione di ostacolo che bisogna vincere: io e il monte siamo; altro no. E non devo esser che io, in vetta.
Scipio Slataper

mercoledì 13 febbraio 2013

deCAPTCHAti



Dai anche tu un COLPO DI CODA 
a codici, lettere, numeri. 
Libèrati e liberàti.

martedì 5 febbraio 2013

i mostri?



Quanta amnesia ha ammalato il mondo? Quanti ricordi schiacciati e piantati sotto una spessa coltre di indifferenza, innaffiati dalla disperazione? Dall'altra parte della terra sotto la frenetica spinta spunta il frutto del peccato subito, nasce la coscienza del male assoluto, comincia la ricerca delle ragioni, la fuga alla condanna dei colpevoli. E tanta ossessione s'impossessa del nipote del perseguitato. Tanto rinnovato vigore matura sulla fronte del figlio. Vendetta, rivalsa, maledizione. Tante voci, una moltitudine di voci, un'armonia insana di suoni, la massa informe di bocche aperte in un urlo che non senti chiaro e potente, ma che immagini lancinante, quanto più sordo possa rappresentare un'umanità impotente, violenta, inconsistente, bestiale, inutile, sprecona, speculare, infestata dallo stesso difetto. In superficie non diresti, cominci a scavare ed eviti di ammetterlo, ne ritrovi caratteristiche comuni e segnali incontrovertibili, ma neghi, dubiti, rifletti, capisci. Grigio intorno, fosco dentro.

Ad accogliermi fu il silenzio, il silenzio di una città non ancora morta ma agonizzante, una città che, dopo la dipartita dei soldati, era precipitata in una miseria spaventosa. I pochi turisti che c'erano gironzolavano intorno al Monumento e lungo i due o tre sentieri didattici sul genocidio che il Monumento aveva istituito.
Jachym Topol






lunedì 28 gennaio 2013

maschere



In questo sottile, ma ostentato gioco di specchi, che segna i confini precisi, il mio ruolo è sfumato sempre;  i miei sogni e i miei desideri latenti, penetro con violenza nelle vite altrui, ne spazzo tutte le sicurezze, metto a nudo i disastri, ne confondo i tratti, mischio il dentro con il fuori e, in punta di piedi, con indosso solo vestiti leggeri, esco, anche se ci fosse neve, anche se ci fosse bufera. Rimane tutto confuso, il quadro per nulla definito, quella iniziale volontà di verifica della corrispondenza tra possibile e reale scomparsa, volatilizzata, dispersa. Sono un soggetto provocatorio, anaffettivo… son diventata un oggetto, un luogo, un perché con punto di domanda, un percorso privo di sintesi e di indicazioni, analitico poco, evoluto quanto basti ad escogitare nuove vie di fuga e ignorare gli innumerevoli segnali di pericolo. Ad ogni stagione imbastisco una storia, sfodero le mie armi micidiali e risalto tecniche e tattiche nuove per dar vita a una guerra ad armi pari, a volte, impari, spesso. Lo sento il capolinea, ne avverto la presenza ad ogni crocevia, destra o sinistra, dritto, indietro. IL transfert, i pensieri nascosti nei varchi del sedile alla guida, le fantasie erotiche in contrasto con la banalità di amori scorti nello specchietto retrovisore, i riflessi di un equilibrio personale chiuso nel bagagliaio insieme a cesoie, spugna e ombrello e la ruota di scorta e il viaggio continua ripercuotendosi sulla mia personalità, schiacciando le resistenze del manto stradale, consumando i passeggeri, mettendo a nudo gli autostoppisti del caso. Tu mi dici che c'è un programma di percorrenza, un itinerario da seguire rigorosamente. Io alzo il volume dell'autoradio.

'L'uomo che si assume il compito di individuare nell'arazzo il filo che tutto ordisce si fa carico del mondo'
C. McCarthy

lunedì 21 gennaio 2013

fuga

Ecco, tu sei stato così per me: quell’essere di sesso diverso, così vicino che pare abbia nelle vene lo stesso tuo sangue, che puoi guardare negli occhi senza turbamento, che non ti è né di sopra né di fronte, ma a lato, e cammina con te per la stessa pianura... e così pensi che sia, così sai. Io avrei capito. Io t'avrei frenata. T'avrei saputo consigliare pur sapendo che i consigli son poco ben accetti. Quando vuoi che gli eventi seguano te e non il contrario. Quando corri bene e non ricorderai se non la strada che scorre sotto i tuoi piedi e le distanze che riuscirai a coprire, ti guarderai indietro e non scorgerai se non la tua ombra, veloce, più veloce. Non ti annoierò coi se, coi poi, ché quelli verranno e faranno da altalena qua e là, oltre le frontiere e entro il tuo personale confine al di là del quale potrai andare se vuoi, ora, o mai più. 
Via da ogni banalità, lontano da ogni evidenza che ricade sotto i nostri occhi come naturale e logico inseguo il vero, è lontano e devo percorrerlo a passi lunghi, indagarlo con mani curiose e profonde, in mezzo ad ombre e appena accennati chiarori lunari, gli stessi attraverso i quali indaghiamo la nostra reale natura, non quella abbagliante del mattino, ma quella nascosta e umbratile, intima e fonda. È allora che tu scopri, se venir fuori dal nascondiglio e fuggire, o rimanere e ammuffire.




passo iniziale tratto da epistola di Antonia Pozzi a Vittorio Sereni

ah, io me ne vo con questa

domenica 13 gennaio 2013

fame


Un grande movimento di corpi scarnificazione con iniziale implosione interna. Poi come per malvagia magia si sentono rumori spaventosi, cigolii sinistri e si verifica l'impensabile, il mai augurato, sferraglia, si piega, si contorce e dal blu benevolo si scatena l'inferno e la devastazione. Un grande urlo muto scaturisce e si propaga dalla voragine aperta, come il lamento del cetaceo ferito a morte, sordo richiamo di un'intera umanità dimenticata e abbandonata. E l'umanità è femmina che ripulisce e si netta del peccato a cui è tentata e alla beatitudine a cui aspira. Respira violenza, attrae buio, emana luce asfittica. Non è che un atto, debole, veloce come un soffio, gelido come il metallo a cui si aggrappa, dolce come l'ultimo ricordo piacevole. Eppure la deflagrazione che ne consegue è strepito e scheggia, maestosa manifestazione di grandezza e di potere l'uno sull'altra: un'opera con orchestra al completo, magnifica, commovente, solenne celebrazione, vita e morte unite da un'unione indissolubile, e allo stesso tempo, brevissima. L'amaro pianto che sgorga, mormorato, marciato lentamente, corrode i corpi su cui scorre, sembrano stille di sudore e invece son lacrime sacre, umettanti, salvifiche, riflesso di cielo all'imbrunire quando le divinità non vorrebbero congedarsi da noi mortali.. insolito rituale, dormi con me giorno, veglia su di me notte.

Ho comprato una pelle
per sentire meno
questo scricchiolio
sottile disturbo
tra me e me

Ho comprato una pelle
per vedere meno
quella mano nuda
maldestra o malsinistra
quella mappa malposta
tra me e me

Ho comprato una pelle
per andare in giro
in un guanto

Eva Taylor


Opera: Erotism André Martins De Barros



domenica 6 gennaio 2013

tira e s'estende

Stava per l'appunto sciogliendosi il fazzoletto dal collo, e aprendosi il giustacuore, quando, a uno sguardo fuggevole sul cerchio formato dal popolo, scorse, a breve distanza da sé, fra due cavalieri che lo coprivano a metà coi loro corpi, l'uomo ben noto dalle piume bianche e azzurre. Con uno scarto improvviso, che sorprese la scorta che lo circondava, Kohlhaas gli andò proprio davanti, si sciolse dal petto la capsula, ne trasse il foglio, ruppe il sigillo e lo scorse: e, con gli occhi fissi sull'uomo dalle piume bianche e azzurre, che già cominciava a dar corso a dolci speranze, lo mise in bocca e lo inghiottì.




Il buco si allarga. Ora è largo quanto il palmo di una mano. Potrei infilarci la destra, girare l'indice intorno a qualche vena, tirando e mollando, e solleticare appena l'aorta così tanto per stimolare il flusso di vita e rendermi conto se pulsi ancora o si sia fermato. Potrei anche stringerlo nel pugno, farne una fascina, estrarla e dar fuoco, così arderebbe ancora un po' prima di spegnersi del tutto. Potresti prestarmi la tua e tutt'e due tirerebbero, slabbrerebbero, spalancherebbero cosicché chiunque, volendo, potrebbe farmi visita di quando in quando, ospite per poco, giusto il tempo di farsi spazio, dar l'acqua e arieggiare. E' inutile, vero?, che io ti fornisca le coordinate, sai già dove rintracciare l'ultimo lampo di genio, quanto forte devi contenerlo e in che misura rilasciarne profumo e macchia d'olio. Si disperderà, non avrà più storia. Intanto l'avrà condita quel che basta a render non vano il tentativo di coordinare passo ed espressione. Diventa un sensuale tango quel seguire la traccia sgorgata dal cuore degli avvenimenti; chissà il finale potrebbe essere un casquet rovinoso o una presa memorabile, figurativamente mobile su un tappeto a tratti ispido e infido. L'inciampo, sicuro, inevitabile, è uno screzio che induce la mente in un labirinto prepotente nel quale non c'è limite al peggio, ogni svolta improvvisa riserva una sgradita sorpresa, una fitta più acuta, sfrigola, si dimena, fuma, esplode... non mi salverà, ma trascinerò a fondo il senso dell'infinito e dell'incompleto. Lo scopo si fa vortice e viaggia verso di noi e da noi si distanzia, si fa sacrificio, ci da vittoria fugace: il fine.

l'uomo, che si assume il compito di individuare nell'arazzo il filo che tutto ordisce, si fa carico del mondo
Cormach McCarthy

passo iniziale tratto da Michael Kohlhass di Heinrich Von Kleist, vista a teatro, interpretata da Marco Baliani