lunedì 29 ottobre 2012

chiodo fisso

Chiude fremente il libro dei re e lo scaraventa lontano… avevo dei dubbi, ma ora sono sicuro non terminerò questi maledetti studi e non farò l'esame. Ha oscillato per mesi su questa pericolosa decisione, faccio il salto finale su questo enorme buco nero, dimentico di tutte le promesse, i giuramenti; probabile che si cacci in altri guai, ma dico e faccio basta. Profeta del mio futuro. Infedele protagonista di un tempo indefinito. A volte sente d'essere solo un personaggio, gli altri gli girano intorno, deridendolo e additandolo, gli ricordano, sempre, che le sue battute sono frammentarie, poche, sussurrate, pronunciate a malapena o non ricordate per nulla. Qualche riga nelle infinite pagine bianche, pochissimi secondi per dire la mia.
Con ironia, certo, ché è brutto piangersi addosso. E già nel mio immaginario non riesco a intravedere uno spiraglio, figuriamoci l'impaccio delle lacrime, lo spreco dei singhiozzi… bisogna risparmiare su tutto, anche sulle emozioni del mondo che sta a sentire: l'unica aspirazione è sopravvivere decorosamente e togliersi uno sfizio, qualsiasi, l'importante via di fuga. E invece non c'è scampo: nessuna dignità, nessuna forza di reazione, disponibili, come si è, ad accettare qualsiasi ruolo e l'unica sacrosanta voglia di cercare svago a tempo indeterminato come per tratteggiare rabbiosi un'ipotetica, arbitraria rivalsa contro lo sfruttamento, i ricatti, la frustrazione, la necessità, le furbate criminali. Travolto dalla vertigine delle tante telefonate da fare, degli appuntamenti da prendere, delle dimostrazioni, delle convinzioni, dei giochi, dei sorrisi, delle firme, ha quasi dimenticato la sensazione di appartenenza, di aderenza a un progetto, a un sogno, a una fantasia, preso com'è dal parossismo quotidiano di una vita ammalata, inutile, persa, precaria…




… vorrebbe avere tanto un passato tragico: giustificherebbe il suo presente.
Vanni Santori



domenica 21 ottobre 2012

ossessi


Ho sempre preferito i sussurri, i non detti, gli sguardi traslucidi, le espressioni trasparenti, ma non posso esimermi dall'amare anche i rulli di batteria, le sferraglianti chitarre, le percussioni, i synth ammalianti.. i pensieri sono elettricità diffuse come un intero popolo che si muove e vaga, attraversa terre lontane da quella originaria, a bordo di carri trainati da stanche giumente, in piedi in vagoni puzzolenti, su mezzi di fortuna, in barche malandate solca mari amici e oceani crudeli: una fiumana di genti e pagine che scorrono insieme e si dividono in rivoli più piccoli: radici, sangue, capelli, dita.
Rimango qui a contemplarle o mi unisco a loro, fondendomi e rifondandomi senza filtri e approcci preconfezionati. E' un continuo scambio alla pari il mio con i viaggi nel tempo e nello spazio, in cui i voli pindarici si imbattono in flussi migratori di immagini rutilanti, e può essere un impatto violento, lisergico o un abbraccio fraterno, dolcissimo. Fa sempre l'effetto di un carosello di sensazioni mai riconducibili al raziocinio, traballanti, elastiche come quello yo-yo che sfilo sempre dalle tasche della memoria. Serviva a tenere viva la me aderente al contingente e la me grottesca. E' un cocktail a cui non so rinunciare, che voglio riversare continuamente nei rapporti instaurati e da instaurare. Gran fattona, ma la adoro.



Non è una porta normale, piuttosto direi un portone a un solo battente, e, inoltre, di normale qui non c'è proprio nulla.
Patrik Ourednik



domenica 14 ottobre 2012

a quiet place

Quante volte moriamo l'uno nell'altro,
nell'umida caverna vaginale,
di quella morte che è dolce più del sonno:
la quiete dei sensi soddisfatta.
Carlos Drummond De Andrade



Intromissione.. nessuno gli dà il permesso e quello s'è già accomodato, sprofondato nella poltrona e piedi sul tavolino. Non sono fissato coll'ordine, ma educazione vuole che mai mi sia sognato di entrare in casa altrui, piazzarmi così e nemmeno essermi presentato. Si chiama colpo di fulmine. Puoi chiamarlo come diavolo vuoi, ma già ho voglia di scaraventarlo fuori a calci in culo.
Avvicinamento: ha spostato prima un piede poi l'altro, s'è seduto composto, diciamo, e ha cominciato a parlarmi con tono suadente, con tecnica ammaliatrice. Si chiamano espedienti e io lo lascio fare. Ci sa fare, sì.
Intreccio.. di mani, gambe e gole, schizofrenie, magici momenti di estaticità, miscela sempre interessante, dal sapore familiare e allo stesso tempo esotica. Si suol definire colpire nel segno. E io spingo quel dettaglio, stando attento a rifuggire stilemi e stereotipi, muffa stantia e abuso di abitudine, lo spingo verso il salto finale da elemento dentro l'altro elemento portante della ballata: il ritmo. Sento gli ultimi singulti, al limite, poco prima della resa ultima, vischiosa, contorta.
Delusione: morte inaspettata. Non lo puoi rimettere sù. Ne uscirebbe un suono rotto, sguaiato. È il compendio soave, forse troppo breve, ma umanamente riconoscibile. Si chiama orgasmo. Chi lo sfoggia dilunga solo, ma non gode appieno. Io preferisco un'enfasi minimale. Mia imperfetta perfezione. Ramificazione alla cui sommità prelevare, gelosa, curiosa, personali sorprese, dolci rivelazioni. I detrattori zittiti. Gli inguaribili pessimisti invitati al prossimo.


venerdì 5 ottobre 2012

vinta



Morirò di libri. Mi schiacceranno come un cartoncino tra le loro pagine. Uno di quei segni che si lasciano a memoria dell'ultimo periodo letto, dell'ultima immagine evocata. Starò lì dopo aver cercato di risollevare quell'epica voce, inutile sforzo, e ritarderò più a lungo possibile la lacrima della sconfitta, la piega della bocca in basso: il ritratto della resa, ferma l'attimo di una posa, una compostezza forzata. L'idea che una delle passioni più grandi della vita ci costringa all'angolo, ci schiacci al quotidiano confronto con la realtà dura e l'inconsistente forza immaginativa è un sussurro, un grido soffocato. Ripesco quella fotografia in bianco e nero, sgualcita ai bordi, divisa al centro da una piega dispettosa che colpisce i volti e li rende irriconoscibili.
Con tocco intimista riprendo le fila, ricostruisco la vicenda, riempio di colore quegli occhi, restituisco luce alle loro esistenze, suono alle loro parole. Hanno più il sapore del sogno, non essendo più vivi, risultano esiliati dal presente, lontani dalla terra a cui appartenevano, legati solo alla carta lucida su cui sono impressi.. ma io ne sento vivi l'orgoglio, il temperamento e l'equilibrio e per essi nutro rispetto, li mantengo integri e li salvo dall'incuria e dall'amnesia. Non mi pare più nemmeno tanto duro e triste rimanere qui, in mezzo alla folla di personaggi, tra preghiere, rabbia e tenerezza; non sarà un demerito far parte della storia collettiva ed essere raccontata e riletta a bassa voce, sottolineata e ripassata, raccontata e testimoniata, riassunta e interpretata.
Son tolta d'imbarazzo: annullata insieme a loro, arricchita confluisco nell'enorme progetto di nemesi fin nei più remoti lembi, a render giustizia delle deportazioni e delle sconfitte, delle cancellazioni e delle differenze evidenziate, delle violenze aberranti e delle umanità ignorate. La miglior vendetta sta nell'ascoltare, sedersi e ascoltare.

Vinti che si mostrarono deboli, o che scelsero loro stessi di chiamarsi vinti, poiché quel che volevano conquistare non apparteneva a questo mondo.
Varujan Vosganian